6-7 aprile 2013. Lectura Dantis

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Inferno. Canti VIII, XXI, XXXIII con Alessandro Bianchi (introduzione e lettura), Dimitri Corradini (illustrazioni) e Marco Papagni (sculture).

[one_half]Apertura esposizione ore 18.30
Inizio spettacolo ore 19.30[/one_half]

[one_half_last]Presso EOS Laboratorio delle Arti
Via Gramsci, 5, Parma[/one_half_last]

Lectura Dantis è uno spettacolo che fa interagire la parola poetica recitata con la traduzione del testo in immagini, e in seconda battuta con un commento storico-critico ed uno musicale. Gli autori intendono rivolgersi ad un pubblico il più ampio possibile, cercando però in ogni modo di evitare sciatterie ed eccessive semplificazioni nella presentazione di una letteratura difficile e insieme affascinante, nonché di creare un amalgama omogeneo, le cui parti si fondano e completino a vicenda.

Si comincia con il canto ottavo, che fa da introduzione al intera performance: attraverso la palude Stigia, in cui vengono puniti gli iracondi e gli accidiosi, Flegiàs traghetta Dante e Virgilio verso il basso Inferno, protetto da mura vermiglie da cui escono più di mille diavoli che respingono i due viaggiatori. È proprio nel basso Inferno che sono ambientati i canti ventuno e trentatré, la cui recitazione e visualizzazione costituiscono il nucleo dello spettacolo.

Con il canto ventuno ci troviamo nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti i barattieri, ossia coloro che in vita condussero disonestamente affari pubblici: immersi nella pece bollente vengono straziati da diavoli chiamati Malebranche, che gli ‘arruncigliano’ quando tentano di prendere ristoro emergendo dalla pece. Il canto è definito ‘comico’ e il motivo prevalente è quello dell’inganno: Malacoda, il capo della masnada diabolica finge soltanto di voler agevolare la discesa di Dante e Virgilio, l’uno timoroso e l’altro fin troppo sicuro di se stesso, visto che verrà anche lui gabbato, e lo riconoscerà con rabbiosa vergogna nel canto ventiduesimo: al quale è ridicolo preludio il peto di Barbariccia che inaugura la marcia verso un ponte che dovrebbe condurre al cerchio successivo, ma che, si scoprirà, è franato.

L’atmosfera dell’episodio celebre del Conte Ugolino, collocato nella parte infima dell’Inferno e che occupa l’ultima parte del canto trentaduesimo e la prima metà del successivo, è del tutto diversa: il tono è grave e tragica la storia che il Conte racconta, ossia l’inganno dell’arcivescovo Ruggieri che cattura lui e i suoi figli, la loro incarcerazione e la loro morte per fame nella «torre della Muda». Le parole qui valgono quanto i silenzi; le immagini riproducono il clima da incubo che Ugolino stesso crea col suo racconto. L’episodio si conclude con una violentissima invettiva di Dante contro Pisa: qui la rabbia spesso trattenuta esplode in un grido che rompe quel tragico silenzio rotto dai singhiozzi dei bambini, per cui abbiamo provato pietà e a cui abbiamo portato rispetto.
(A.B.)

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